TORINO - MOSTRA DI TAMARA DE LEMPICKA




La sua esistenza fu sempre multipla: si sposò due volte, visse in due continenti ed ebbe una relazione con una donna. Amava il glamour, il mondo della moda, il cinema. I suoi atteggiamenti, per l’epoca, furono decisamente trasgressivi e moderni, il suo linguaggio espressivo resta unico e il suo nome è ormai sinonimo di audacia e originalità. A tale proposito ricordiamo una sua famosa  dichiarazione: ”Io le mode le faccio non le seguo”. La mostra di Torino tra opere, fotografie, disegni e accessori a lei appartenuti, si presenta organica, in grado di svelare tutti i volti dell’artista polacca. Nata a Varsavia nel 1898, viene iniziata alla pittura da un artista francese di Mentone, ma affina il suo stile con Maurice Denis e André Lhot. Inizialmente Tamara lavora per il mondo della moda, disegnando magnifiche figure femminili in abiti da sogno, che venivano pubblicate nelle riveste “Femine” e “L’illustration de modes”. I suoi dipinti risentiranno sempre di questa formazione, come mostra l’opera “Ragazza in verde”, del 1930-’31, che fa riferimento agli abiti della stilista Madelaine Vionnet. Tutta la sua ricerca è ascrivibile al periodo Decò, così la trasposizione di questo stile in termini pittorici, resta un’eccezione nel panorama artistico del periodo: il senso scultoreo delle forme, la lucentezza metallica che emanano le figure e l’interpretazione dello spazio hanno dato vita ad opere di grande sapienza pittorica. A sorprendere è proprio la riproposizione dello spazio, elaborato osservando le innovazioni portate dall’arte astratta e cubista. In proposito può essere un calzante esempio lo sfondo cittadino della tela intitolata “Ritratto del principe Eristoff”, datato 1925. Durante gli anni ’40 l’artista polacca si tra sferisce a Beverly Hills e successivamente a New York. Una tela del 1944 mostra la versatilità della sua mano, in grado di dipingere in maniera esemplare anche gli oggetti, come nell’opera “Natura morta con gigli e foto”, in cui è evidente la serica lucentezza dei drappeggi. Non mancano i riferimenti e lo studio sull’arte del passato, come possiamo notare in “Coppa di frutta”, del 1949. Il soggetto, presentato in chiave rinascimentale, è ritratto su un fondale nero e mostra in primo piano un cartiglio-pergamena che porta il suo nome, in riferimento alle modalità degli artisti fiamminghi. I celebri ritratti femminili uniscono sensualità ed innocenza, sono ripensati con sensibilità, in riferimento alle forme tornite della scultura seicentesca e alle pose aggraziate del neoclassicismo. Restiamo stupiti del suo talento artistico soprattutto visitando la sala intitolata “Sacre visioni”. Tamara guardò di certo a Michelangelo per rappresentare la sua “Vergine blu”, del 1924: nella tela c’è spazio solamente per un piano ravvicinato sul volto di Maria, incorniciata da un manto azzurro intenso, che ricorda gli esiti della pittura boema. A conferire dinamismo a questo ritratto, interviene il rosso vermiglio delle labbra. Proseguendo nel percorso in mostra, non poteva mancare un dipinto che celebrasse la sua amante. L’opera è stata dipinta tra il 1931 e il ’32 e si intitola “Ritratto di Madame Perrot”. I colori predominanti sono il grigio, il bianco e il rosso, che rendono un forte impatto visivo. Ad essere protagonista, insieme alla Perrot, è l’aria, che restituisce alla scena il movimento nelle evoluzioni degli abiti della donna che tiene in mano un candido mazzo di calle. Una delle sezioni più interessanti resta quella dedicata al tema erotico. Una celebre tela è “La bella Rafaëla”, del 1927. La modella è presentata di scorcio in diagonale, così il senso spaziale diventa strumento per esaltare il suo corpo, e viceversa. Tamara riesce ancora una volta ad infondere un pregnante senso scultoreo alla figura, che trabocca di sensualità. Stupenda anche l’impostazione della luce che si posa sul nudo, esaltando il biancore dell’incarnato. Un’altra creazione significativa è “Le amiche”, datata 1923, che ritrae una coppia di donne svestite. La tela ha una composizione interessante perché lo sfondo è costituito da una scena urbana dal sapore cubista, a cui fa da controparte la solida costruzione delle masse anatomiche delle donne. Ad aumentare il senso di profondità, un tendaggio chiaro in primissimo piano, che richiama il linguaggio barocco: in tale maniera gli artisti del ‘600 volevano presentare i personaggi dei loro dipinti come attori teatrali. Tra i dipinti anche uno che ha come soggetto la figlia dell’artista, intitolato “Kizette al balcone”, datato 1927. Anche in questo quadro l’organizzazione delle architetture viene giocata con inventiva: la città sembra anticipare le contemporanee metropoli. L’attenzione si concentra sui lineamenti della bambina dai riccioli biondi. L’artista polacca realizza un’opera all’interno dell’opera stessa, infatti l’espressione del volto e la lavorazione dei chiaroscuri risultano davvero superbi. Tutto il suo percorso è un invito alla vera scoperta di sé, senza curarsi dei giudizi della gente,  in un mondo che consacrava solo coloro che hanno avuto la forza di mostrarsi e non esitare davanti alle sfide dell’esistenza.

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