Alcuni
versi della poesia “L’Assoluto di malumore”, di Filippo
Martinez, dicono così: ”… Sarebbe meglio non nominarlo il Male.
Il Male non tollera alcun giudizio; non ha bisogno di mandanti né di
moventi. Il Male è una nuvola sterminata di notte. E’ un malumore
indecifrabile…”. L’inquietudine del vivere, che esplode
nell’800 con il movimento romantico, è esaltata nel Decadentismo,
si fa poesia con i simbolisti e, con l’Esistenzialismo di Jean Paul
Sartre, viene sviscerata totalmente. Oggi, nell’era moderna, in cui
l’uomo mai come prima avverte il peso della solitudine e
dell’incertezza del futuro, la rappresentazione di sentimenti
inquietanti è spesso tra i temi prediletti dagli artisti. I creativi
dello scatto ci regalano un vasto panorama riguardo il viaggio che
ognuno di noi, chi più chi meno, è costretto ad affrontare per
ritrovare la propria “luce” interiore. Bellezza e surrealtà
dominano le composizioni di Daria Endresen. Ogni scatto, modificato
in digitale, si sofferma su una particolare sfumatura che parla di
malinconia e solitudine, e talvolta genera disperazione. Come accade
nell’opera “Zu Wartren”, i colori virati su toni freddi
aumentano il senso di irreale e questo ci permette di abbattere i
confini per andare oltre ed esplorare le zone più remote
dell’inconscio. Anche Kaveh H. Steppenwolf risente della magia del
surrealismo, fusa ad ispirazioni filosofiche, enigmi e metafore. La
caratteristica dei suoi scatti è quella di mutare le prospettive
solite del nostro modo di capire la vita, per aprire davanti ai
nostri occhi nuove realtà e soluzioni. Nei suoi paesaggi grigi
riusciamo sempre a scorgere una flebile luce, che riesce a
sopravvivere tra tenebre e segreti. Shaden Brooke ci affabula
attraverso favole oscure. Lo studio compositivo della luce e il senso
narrativo sono in grado di nascondere il visibile e liberare la
potenza evocativa della fantasia. In “Experiencing Space” una
figura femminile giace sospesa come se fosse immersa nell’acqua:
una sorta di rito di passaggio che la indirizzerà verso una nuova
rinascita. Il suo obiettivo è fare chiarezza sulle dinamiche della
sofferenza e sul significato della vita. Dalla sensibilità
pittorica, il fotografo svedese Frederik Odman vive tra follia,
logica e sogno. Le sue creazioni sono caratterizzate da un’estrema
cura del dettaglio, che mette in scena uomini e donne simili a
burattini, animali o personaggi oscuri. Chadwick Tyler ha detto:
”Odio le persone di merda. […] Tantissime persone non fanno altro
che dirsi a vicenda quanto sono fighe. Abbiamo capito, siete fighi,
adesso muovetevi”.
Dei suoi modelli non mette in luce sono la
bellezza, perché vuole fare emergere quello che si trova sotto la
loro “pelle”. L’artista è impegnato a studiare la duplice
natura della donna: angelica o temibile. La prima personale dal
titolo “Tiberio” mostra ritratti in cui contrappone al mistero la
chiarezza, attraverso l’esternazione di stati emotivi quali la
rabbia, l’estasi, l’isteria o la stanchezza. A non aver paura del
diverso è certamente Joel Peter Witkin. Le sue composizioni sono
animate da figure deformi, malate a cui nessuno dona affetto, al
contrario dell’artista che cerca per loro un posto in questo mondo.
Un suo celebre scatto richiama in maniera diretta il dipinto di
Velazquez “Las Meninas”, dove Witkin pone in primo piano una
bambina senza arti inferiori. Falsare il reale per scoprire la sua
vera essenza, dare spazio ai nostri incubi per affrontarli una volta
per tutte e accettare l’infelicità, questo è ciò che emerge da
un simile contesto. E dove non arrivano le parole, a guidarci saranno
sempre le illuminanti visioni degli artisti.
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