EZIO AROSIO









Gli “agglomerati” di Ezio Arosio non hanno una chiara identità, sono per di più simboli in bilico tra reale ed immaginario, dove a scontrarsi sono la veridicità del disegno saldo e la libera natura del soggetto. La superficie della tavola è colmata da una compenetrazione di segni, incisioni e tocchi che si fondono in un linguaggio personale da cui prende forma una fioritura urbana aggressiva e impietosa. Questa finestra sul mondo si affaccia su un punto di crisi, un mondo portato oltre i limiti sostenibili, ma in cui brilla in fondo una luce positiva, suggerita da strutture di ponti in costruzione: unione tra i destini, tra gli sguardi e tra una miriade di traiettorie esistenziali. Il limite attraversato non è solo quello oggettivo delle suggestioni legate all’immagine in sé. Lo spazio delimitato della tavola non basta all’artista, che attraverso le architetture induce il tutto ad espandersi oltre il supporto. E’ infatti lo spettatore che prosegue idealmente questo andamento. La tecnica usata per dare vita agli avveniristici scenari, trova equilibrio nella disposizione delle masse cromatiche organizzate per ampie zone, e nelle successive lavorazioni con colature e sfumature vaporose. La parte più spiccatamente pittorica si combina con le linee svettanti del disegno, per lasciare posto ad una soluzione finale, che unisce al respiro della pittura di sempre la calibrazione grafica e l’organizzazione razionale della prospettiva. I grigi fumosi, i rugginosi seppia e i neri opachi concorrono a restituire un’atmosfera fantascientifica e inquietante, che richiama gli scenari di certi cult-movie ambientati in un tecnologico futuro.  I profili delle metropoli si sciolgono tra una terra e un cielo carichi di presagi, dove il biancore si scontra in una lotta ancora indecisa da cui nasce una tensione psicologica che ha dell’incredibile. Il suo gesto, che scava letteralmente nella tavola, è l’espressione di una volontà che si muove alla ricerca di un qualcosa che è andato perso, o la trasfigurazione degli interrogativi dell’autore che cerca risposte per approdare ad un chiarimento che egli sente vitale, indispensabile. Il punto di vista che predilige l’osservazione dal basso verso l’alto crea un senso di incombenza, e ci fa riscoprire abitanti spaesati di questi luoghi titanici, forti nella loro scenografia di linee: epifanie liriche ormai eternate come fossero state scolpite nel duro granito.

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