VERCELLI - L’AVAGUARDIA NEGLI SPAZI ESPOSITIVI DELL’ARCA




Trentasette opere raccontano l’evoluzione e lo stile di tre big dell’arte moderna. A Vercelli, presso l’ex chiesa di San Marco ora sede espositiva dell’Arca, è stata da poco inaugurata la mostra “I giganti dell’avanguardia: Mirò, Mondrian, Calder e le collezioni Guggenheim”. Questo nuovo appuntamento è nato grazie alla collaborazione con le collezioni Peggy Guggenheim, il Comune di Vercelli e la Regione Piemonte. La mostra è a cura di Luca Massimo Barbero ed è articolata in tre sezioni, che raccontano in ordine cronologico le ricerche di ogni artista. L’impaginazione inizia con Piet Mondrian. Il percorso fa notare le tracce di figurazione presenti in tele come “Faro a Westkapelle”, che rivelano l’indagine sul paesaggio e sulla stesura del colore, dato in due momenti alternati al fine di regalare espressività all’immagine. Segue la sintesi formale, evidente in “Dune in Zelanda”, che chiarisce le ispirazioni di Mondrian, dalla pittura olandese del ‘600 ai fauves. Un grande passo verso la soluzione astratta è di certo riscontrabile nell’opera “Natura mostra con fiori”, dove rintracciamo gli echi della pittura di Cezanne. Anche la tecnica presenta una novità: l’artista ripete infatti le pennellate sui contorni già tracciati. La maturità porterà il pittore a concepire l’idea di piano-superficie, mutuata dalle estetiche del De Stijl, rappresentate nella tela “Composizione con rosso, blu, nero, giallo e grigio”: il modulo quadrato, scandito da strisce di colore nero, forma una griglia, dove è eliminato il rapporto figura- sfondo. L’artista, da questo momento in avanti, indagherà il contrasto che si genera tra la sensazione di stabilità e il dato luminoso. La sua ricerca si spinge successivamente verso una dimensione che vuole  trovare una soluzione tra equilibrio, ritmo, movimento e statica. Ad accogliere lo spettatore nella seconda sala è “Prates, il villaggio”, di Joan Mirò. L’impianto cromatico è potente, dal sapore fauves, vicino alla decorazione ceramica catalana. Le linee ondulate dei campi arati tendono di più all’astratto, mentre gli edifici sullo sfondo reclamano un’adesione al vero, sottolineando il loro volume. Nel dipinto “Interno olandese” riconosciamo l’inconfondibile stile dell’artista: le forme sono piatte e soggette alla metamorfosi, infatti  restano riconoscibili solo un liuto e una caraffa. L’adesione al movimento surrealista, nel 1924, sancisce anche l’inizio di una ricerca sulle varie espressioni artistiche come il papier collé e la stampa. Nella fase matura Mirò annulla lo sfondo. Ora le tele sembrano riportarci il racconto di un mondo liquido e fluttuante. Ad influenzare la sua pittura sono state anche la guerra civile spagnola e la seconda guerra mondiale. Da questo momento in poi è possibile leggere nelle sue tele sensazioni ansiose e cupe, intrise di una carica misteriosa, come conferma il dipinto “Pittura “. Qui carica gestuale, simbolo ed eloquenza spontanea sono dominanti, mentre tra le figure e lo sfondo la coesione nasce dal colore sfumato. Il reale è presente nelle sottili allusioni alla terra, richiamata dai cromi bruni e dal cielo evocato dagli azzurri. L’altro grande nome in mostra è quello dello scultore Alexander Calder. L’artista, durante la sua carriera, si era dedicato al settore della gioielleria, infatti una teca espone degli orecchini creati per la collezionista Peggy Guggenheim. Interessante e splendida la testiera da letto, che mostra l’abilità nel creare giochi di forme: pesci, insetti e fiori rispondono ad una ricerca sulla resa spaziale. Sospeso per aria il “Ritratto a Giovanni Carandente” inaugura una serie di studi su questo argomento. Sarà Marcel Duchamp a nominare le creazioni di Calder con il termine “mobiles”. La ricerca plastica e dei materiali per quest’autore darà vita a opere dallo stile inconfondibile. Le sculture sono costituite solitamente da una leggera struttura in fil di ferro, a cui vengono applicati piccoli elementi che ricordano foglie e petali. L’opera “Yucca” unisce l’idea tradizionale di corpo statico con l’ inserimento di componenti mobili. Un guazzo su carta, del 1971, ritorna su uno dei motivi ispiratori di Calder: il cosmo. Il dipinto mostra una scacchiera dove si distribuiscono forme, colori e simboli. A catturare lo spettatore è certamente l’imponente struttura sospesa ”Arco di petali”. La complessità di questa composizione è qui messa in evidenza. La scultura alterna parti dipinte e non, perché secondo l’artista era la diversità  non la similitudine la vera componente interessante.

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