Nell’orfismo le stagioni erano rappresentate con le quattro
teste di animali di Eros-Fanete, ovvero il leone, l’ariete, il toro e il
serpente. In età classica i greci diedero a questo tema le sembianze di figure
femminili, mentre nel Medioevo e nel Rinascimento l’iconografia si legava ai
mestieri agricoli. Ma nell’arte moderna questo tema che collocazione trova? Ci
sono stati artisti che, pur vivendo nelle città caotiche, hanno sentito in loro
il desiderio di dare voce alle manifestazioni dei cicli naturali? Nel 1962 Ernesta Maria Ferrari dona
ai Musei Civici di Novara un gruppo di tele dipinte da Leonardo Dudreville, che
rappresentano proprio le quattro stagioni. Oggi queste opere fanno parte della
collezione esposta presso la Galleria Giannoni, negli spazi del Broletto. I
dipinti rivelano una mente aperta e dagli orizzonti mobili, caratteristiche
indispensabili per essere considerati artisti. Purtroppo, nonostante l’autore
sia apprezzato, la sua espressione creativa resta ai margini della storia
dell’arte. Ma chi è quest’artista eclettico e singolare? Leonardo Dudreville
nasce a Venezia nel 1885, da una famiglia di origine francese, ma morirà a
Ghiffa, nel 1975. La sua formazione avviene in clima post impressionista, un
periodo attraversato dalle novità simboliste e divisioniste. Il suo percorso
artistico inizia con la frequentazione dei corsi all’Accademia di Brera e,
seppur per pochi mesi, si trasferirà a Parigi, considerata tra le più moderne “capitali”
dell’arte europea. Nel 1914 entra a fare parte del gruppo “Nuove tendenze” di
Milano, di ci fanno parte anche l’ architetto Antonio Sant’Elia ed il pittore
Achille Funi. Dopo una fase che potremmo definire astratta, di cui le quattro
stagioni ne sono un valido esempio, l’artista ritorna ad una pittura di matrice
figurativa, aderendo al gruppo “Novecento”, nel 1922. In questo periodo è la
chiarezza a guidare la sua mano, ma successivamente il suo stile si evolve per
approdare ad una sorta di iperrealismo che si confonde, per certi aspetti, con
gli esiti della pittura fiamminga, trovando collocazione nella cosiddetta
corrente definita Nuova Oggettività. Negli anni trenta e quaranta sarà tra i
protagonisti della Quadriennale di Roma. I dipinti esposti nella Galleria
Giannoni sono stati realizzati tra il 1912 e il 1913, con tecnica ad olio. I
formati delle tele sono di dimensione equivalente. La scelta del supporto
quadrato rende un senso di stabilità ed equilibrio, non privilegiando nessuna
delle due dimensioni. Vivacità e l’aggettivo che più si addice alla stagione
autunnale. I colori dominanti sono il rosso, il giallo e il verde-blu. La
composizione prende origine da un movimento che si diparte dalla zona centrale-superiore,
infatti essa è caratterizzata da una serie di forme ovali, che scandiscono la
porzione del cielo. Da questa infatti discendono dei raggi luminosi che,
posandosi sulle cose, ne mutano la vibrazione cromatica, che diventa ora più
chiara ora più intensa. Il legame stilistico con Giacomo Balla qui si fa
evidente, perché è la forma circolare a creare gli spazi. Da subito possiamo
scorgere la riproposizione delle poetiche cubo-futuriste, che scardinarono i
sistemi di rappresentazione prospettica e visiva. Proprio le avanguardie
avevano operato un azzeramento dei codici espressivi, ripartendo da i tre
elementi fondamentali dell’arte: linea, punto e colore. Le tele di Dudreville
si allineano in questa moderna prospettiva, ovviamente tradotta dal suo
personale modo di sentire. I dipinti non sono del tutto ascrivibili in una
tendenza particolare e l’artista mantiene un contatto con il reale. Nelle
composizioni resta ancora visibile il paesaggio e la sua morfologia, proprio nell’autunno
scorgiamo campi arati, cipressi ed alcune abitazioni. L’inverno è la tela che
resta stilisticamente e cromaticamente più slegata dalle altre tre, ma comunque
in essa riconosciamo la mano inconfondibile del pittore. I colori dominanti
sono i grigi, i tortora e una serie di toni neutri. A riscaldare il tutto
interviene un delicato arancio-pesca che potrebbe incarnare la luce fredda, ma
brillante, del tramonto invernale. La composizione si articola su una
ripartizione in linee rette posta in direzione diagonale, che rende un ritmo
scandito e severo, come vuole l’anima della stagione presa in esame. Anche qui
il reale fa capolino nella rigida trama delle architetture lineari: gli alberi
presentano i rami spogli, alcune masse di colore alludono alle foglie
rinsecchite, mentre un paio di ruote introducono la presenza di un mezzo di
trasporto. Dopo le asprezze del freddo arriva il calore della primavera. La
tela presenta la composizione più entusiasmante e complessa. Come nell’autunno
osserviamo che il movimento si diparte da un punto preciso, da cui l’immagine
si imposta secondo un andamento a “vortice”. E’ la dinamicità a trionfare,
anche per la presenza di una gamma cromatica assai vivida. Tutta la natura è in
festa, le case si confondono con la vegetazione e il cielo. In genere possiamo
evidenziare un distacco netto dai soggetti futuristi, come ha asserito lo
stesso Dudreville: ”Ho voluto scegliere di proposito un tema banale e comune:
Le quattro stagioni, figurati! Ma voglio dimostrare che non è la stranezza o la
modernità dei temi quella che conta, ma il modo di vedere, poiché lì soltanto
può esistere originalità vera”. In questa tela rintracciamo la matrice di
stampo divisionista. Le pennellate, in certe zone, sono poste per tocchi
giustapposti e la presenza di colori puri richiama le novità tecniche della
suddetta corrente. Ma c’è di più, perchè l’eclettismo di Dudreville è molto più
profondo. I colori accesi sono l’eco delle estetiche fauves, la scelta di
tocchi quadrati e perfettamente ordinati richiamano la trasposizione pittorica del
mosaico, lo spazio privo della terza dimensione è il frutto delle novità
spaziali introdotte dalla Scuola di Pont- Aven, dai Nabis e dall’Art Nouveau. L’estate
chiude il ciclo delle rappresentazioni. I colori dominati sono il giallo ed il
tabacco, che contrastano con i verdi e i blu. Come nell’inverno la composizione
appare attraversata da una compostezza che richiama la natura della stagione.
La tela sembra essere divisa in due aree: una superiore e una inferiore. Quest’ultima
presenta sempre abitazioni che si intervallano alla vegetazione, e alcuni spazi
blu richiamano gli specchi d’acqua. Salendo, la visione si trasforma per via
dell’arrivo di una forma modulare. La parte superiore è infatti il frutto di un
gioco di incastri formali e tonali, che vedono come protagonista una sorta di
figura geometrica ripetuta. Ancora una volta la fantasia dell’artista guarda ai
giochi illusionistici dei mosaici antichi, anticipando le soluzioni ardite
delle composizioni di Maurits Cornelis Escher. Restando in silenzio nella
sala circolare dove sono collocate le sue opere, riusciamo a sentire l’aura di
questi lavori: il dato naturale è trasformato, al fine di fare emergere una ricerca
che si è orientata verso un'astrazione pregna di spiritualismo. L’artista
veneziano si esprimeva così per dare
senso alla sua pittura intesa come: "L'istintivo bisogno dell'uomo a
salire e a perfezionarsi, a portare il proprio io in sfere più elevate e
migliori".
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